Categoria: Racconti

I nostri racconti

La classe Prima Triennale ha lavorato alla stesura di racconti a tema libero insieme all’insegnante di Lettere. Alcune di noi hanno scelto trame romantiche, altre hanno optato per storie gialle piene di brivido, altre ancora hanno preferito la fantascienza… Infine Mascia si è dedicata alla realizzazione di un pdf sfogliabile utilizzando Flipsnack. Ecco qualche pagina:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Clicca qui per leggere il pdf online e lasciaci un commento. Qual è il tuo racconto preferito?

Il potere della poesia

Una alunna della nostra scuola che preferisce restare nell’anonimato, e per la quale useremo uno pseudonimo, ama scrivere le sue riflessioni e poesie in versi liberi. Eccone alcune delle tante.

Lasciate un commento, a presto!!

 

1

Sente il freddo che le trafigge la pelle,
Il cuore caldo
La mente fredda.
Questo mi sussurrò.
Occhi grandi color nero
Attraverso lo specchio spento si guarda
Non vede nulla
Mi chiese quando la guardavo, cosa vedevo
Le dissi ” una bella ragazza forte e tenace”
Le chiese cosa vedesse lei
Mi rispose “solo una femmina”
Capelli vivi e con il suo sorriso dominava il mondo
Mani fredde e cuore caldo.
Naso perfetto
Curve che la rendevano sexy
Sguardo dolce, questo vedevo in lei.
Le dissi “non credo che tu veda solo una femmina allo specchio,
dovrai vedere che persona sei”
Mi guardò ” vedo tutto nero, sono un mostro,
ho sofferto troppo per poter andare avanti, ho un fiume dentro me che sta per straripare
se riuscissi a vedermi allo specchio sarei dei frammenti di una me che sarei potuta diventare.
Potrei vedere me in una vita diversa da questa,
vedere come sarebbe potuto andare se non avessi sofferto…”
Ogni sua parola era un fiocco di neve gelato che cadeva sul mio cuore
“Io sono così, faccio schifo a me stessa, non ho neanche più voglia di vivere”
Piano piano il mio cuore diventava sempre più bianco dalla neve, la sua vita mi faceva male,
feriva.
E come se facesse una magia non riuscivo quasi più a vedere la ragazza di prima.
Le chiesi con le lacrime agli occhi “perché dici questo?
Perché lo fai, non è divertente, mi stai facendo male!”
Scoppiai a piangere.
Mi rispose guardandosi allo specchio con occhi spenti
“Sono la parte oscura, sono un mostro, sono la parte peggiore di te”
mi guardai allo specchio e mi accorsi che mi guardava attraverso l’anima,
il cuore si gelò mentre le lacrime si fermarono,
fu l’ultima volta che parlai con me stessa.
2
Sospiro, guardo il cielo
Le stelle mi parlano.
Sono libere, brillano
Splendono dietro il velo
Le nuvole chiare passano lentamente, come la vita
Con il suono della musica sembra quasi che ballino
Sono vive
La luna calante quasi senza luce ormai
Sorride
Tutto prende vita
Le luci delle stelle danzano
La luna gira 
Ma il mondo sembra fermo
Io, sono ferma.
Come una bici abbandonata nella cantina.
In attesa
Aspetto di essere aggiustata
Sembra così impossibile….
Sospiro
L’aria esce dal mio corpo
è visibile a causa del freddo
che vive nel mio corpo da anni
Nel silenzio sento il vuoto
Mi parla
Ma non ascolto
Chiudo gli occhi,
per paura di qualcosa che non conosco.
Senza accorgermi sogno
La sabbia fra le dita
Il suono del mare
Il sole all’orizzonte
Odore di vita
Mi sento libera…
L’acqua è limpida
Il cielo assume un colore profondo
Che mi aiuta
Mi aiuta a essere serena con me stessa
Mi sento di vivere in pace
Voglio vivere in pace.
La luce del sole viene spenta con un suono
Simile al tuono
Apro gli occhi.
Tutto si spegne.
BROWN EYED GIRL

La creazione di un personaggio

Le alunne della classe Prima Triennale si sono esercitate a creare un personaggio a partire da una lista di aggettivi ed espressioni utili per descrivere. Leggi alcuni esempi!

LA RAGAZZA DELLA FERMATA

di Elizabeth

ll suo sguardo era stanco. Dopotutto erano le sette del mattino… Era lì come ogni giorno, alla fermata, e guardava il vuoto con i suoi occhi chiari e grandi. I suoi lineamenti erano regolari, ma l’armonia del viso era interrotta dal naso lievemente adunco. Faceva freddo e lei tremava delicatamente, mentre la sua pelle chiara e secca diventava livida.
Mi misi vicino a lei, per guardarla meglio. I miei occhi si soffermarono sui suoi lunghi capelli neri. Avrei desiderato toccarli.
A un tratto voltò la testa e i nostri sguardi si incrociarono, mi fece un lieve sorriso con le sue labbra sottili.
Arrivò l’autobus, il suo corpo esile e delicato cominciò a muoversi, tolse le cuffie, il suo sguardo mutò, da stanco si trasformò in attento e si mise a cercare un posto dove sedere.
L’autobus ripartì e già speravo che fosse il giorno dopo per rivederla.

MARTA

di Elena

Un giorno Marta si alzò con il suo solito malumore e con la sua tipica goffaggine. Quel giorno non trascorse sereno. Andò in camera per vestirsi, ma non trovò niente che le stesse bene a causa della sua altezza eccessiva, che in passato le aveva causato diversi momenti di inadeguatezza. Nonostante questo, prese le prime cose che trovò e scese in spiaggia. Appena arrivata, si mise il costume e andò a fare il bagno. Dopo poco, tornò con le lacrime agli occhi a causa di un dolore al braccio. A guardare quegli occhi mi si congelava il cuore, ma mi facevano anche tenerezza, grandi e di un azzurro molto intenso. Aspettò qualche minuto e andò in ospedale per farsi controllare il braccio, che nel frattempo si era gonfiato. Quella sera partì con i suoi capelli lunghi e biondi ancora bagnati, il naso a patata rosso come le gote. Prima di andarsene mi salutò tristemente con un delicato sorriso. Dopo quel giorno non la vidi più, ma conservai quell’immagine nel mio cuore.

 

LA RAGAZZA DEL MARE

Di Gaia M.

Era l’estate della mia prima media quando la vidi quel giorno a Portovenere. Tramite conoscenze comuni la incontrai, alta, pelle chiara. Aveva uno sguardo luminoso e vivace, con quegli occhi verde smeraldo che ti ipnotizzavano .

Aveva un sorriso a 32 denti, con labbra rosee.

Pensai subito quanto fosse bella e che sarei andata d’accordo con lei, infatti fu così; aveva un carattere forte e deciso, ti avrebbe dato il mondo senza aver chiesto niente in cambio, era ostinata ma allo stesso tempo insicura, era un vero e proprio caos.
Mi ricordo di un giorno in cui andammo al mare e la vidi spenta, aveva lo sguardo fisso nel vuoto, non parlava e non aveva alcun tipo di espressione in viso, sembrava persa. Ricordo che a vederla così mi si strinse il cuore.
Cercavo in tutti i modi di tirarla su, mi spensi un po’ anch’io perché è sempre stata un esempio per me.
Da quattro anni a questa parte è una delle mie più care amiche, ringrazio quel giorno perché senza di lei sarebbe tutto diverso.

UNA PERSONA BELLISSIMA

di Gaia C.

Mio nonno era davvero una persona bellissima, anzi è una persona bellissima perché secondo me anche da lassù continua ad aiutare tutti, compresa me, perché lui è il mio angelo .
Io amo tutti i miei nonni, ma lui è diverso, si è ammalato presto di alzheimer, quando io ero molto piccola.
Dopo qualche anno è rimasto infermo a letto, anche se lui non parlava io gli raccontavo sempre tutto.
I miei genitori tuttora mi continuano a parlare di lui e di quello che faceva da giovane.
Aveva la pelle olivastra, lo sguardo luminoso, robusto, gentile, forte e altruista.
Era appassionato di musica, faceva concerti dove cantava e suonava, era davvero bravo. Ricordo che a scuola quando mi chiedevano chi era il mio cantante preferito io rispondevo mio nonno.
Proprio l’altra sera mio papà mi ha raccontato che un giorno mio nonno era al mare e a un tratto una ragazza stava annegando. Mio nonno si è subito buttato in mare e l’ha salvata.
Due anni fa ero a cena a casa di mia nonna, dopo mezz’oretta mi stavo preparando per andare a casa. Come sempre sono andata in camera di mio nonno per salutarlo e mi sono accorta che respirava male e ho subito chiesto a mio papà se potevo fermarmi a dormire lì, ma lui per farmi stare tranquilla mi disse: “Sarà solo un semplice male alla gola”. Andiamo a casa, vado a dormire, mi sveglio di scatto alle cinque dopo aver
sentito chiudere la porta e ho subito capito che era successo qualcosa, infatti aveva
chiamato mia nonna dicendo che era peggiorato.
Al pomeriggio arrivò il dottore e ci disse che lui poteva andare avanti così, a lottare contro la morte anche per mesi perché aveva il cuore forte. Verso le sette di sera mia nonna uscì dalla stanza, lui chiuse gli occhi e si lasciò andare.

Giallo, thriller, noir… I nostri racconti

Dopo aver letto in classe alcuni brani tratti da celebri libri gialli e noir, in Prima Triennale abbiamo provato a scrivere un racconto!

 

DELITTO A 190 METRI DI ALTEZZA

di Rita

Era una serata tranquilla, l’agente Smith e il suo collega Adam decisero di andare a cena fuori e partecipare all’inaugurazione di un nuovo ristorante.

Il proprietario era il signor Keller, un ricco imprenditore miliardario; era diventato molto noto grazie alla catena di ristoranti che aveva aperto in tutto il mondo.

Alle ore 20:00 il Signor Smith, il collega Adam e sua figlia Adele, si recarono al grattacielo più famoso di Tokyo, dove si svolgeva l’inaugurazione, una magnifica opera architettonica alta 190 m.

Il Signor Smith è americano. Si era trasferito a Tokyo 5 anni fa con la moglie, ma la signora Smith è sparita da 3 anni; di lei non si è mai saputo più nulla, mentre invece il signor Adam è divorziato dalla moglie, e nel fine settimana ha sua figlia Adele con sé. Adele è una studentessa del 4º anno, e non ha mai dato nessun tipo di problema ai genitori.

Quella sera tutti erano vestiti in modo molto elegante, il signor Keller era una persona molto apprezzata a Tokyo…

Alle 21:00 ebbe inizio un piccolo aperitivo, e il Signor Keller fece un discorso accompagnato da un brindisi.

Alle 22:00 l’assistente, nonché braccio destro del signor Keller, Fugiwara, fece accomodare tutti i presenti per poter brindare anche lui all’amico.

E dopo aver versato due bicchieri, uno per lui e un altro per Keller, disse:

“Questo brindisi lo faccio per te, amico mio, in nome di tanti altri giorni come questo.”

Tra un applauso e un altro si spensero le luci, e dopo pochi secondi di totale buio si riaccesero.

Appena si fece di nuovo luce, apparve una tragica visione:  il corpo del signor Keller era disteso a terra con un pugnale fra le scapole.

Il panico regnava sovrano e solo dopo l’arrivo della polizia e degli elicotteri, tornò un po’ di calma.

Tante pattuglie sorvegliavano il palazzo, nessuno poteva entrare o uscire, e gli elicotteri sorvolavano su tutta la zona.

Erano le 00:00, la polizia era arrivata alle 22:45, e i dubbi erano tanti.

Nessuno poteva sapere se l’assassino fosse scappato oppure no, il mistero aumentava ogni minuto che passava.

L’investigatore Smith e il suo collega Adam cercavano di capire qualcosa di quel tragico accaduto.

La bellissima figlia di Adam prese sonno su un divano poco vicino all’angolo bar, e Smith decise di interrogare alcune persone.

Nessuno di loro aveva a che fare con il signor Keller, pare che egli non avesse nessun nemico a Tokyo, eppure quella sera era stato assassinato…

Così Smith decise di interrogare l’assistente della vittima e disse:

“Signor Fugiwara, lei era il braccio destro del signor Keller, sa se avesse qualche nemico qui a Tokyo?”

Fugiwara con voce tremolante rispose: “No, ispettore, non che io sappia..”

L’assistente Adam alzandosi dal divano disse:

“Eppure l’hanno ucciso… Sarà una lunga notte.”

Alle ore 01:00 vennero mandate via molte persone già interrogate, ognuna di loro conosceva il signor Keller per essere una persona molto famosa e di animo buono, ma nessuna di loro aveva mai parlato con lui.

Quella stessa sera la polizia fece un’analisi sul coltello, ma non venne fuori nulla.

L’ispettore Smith diede ordine ad Adam di fare un’indagine sul signor Fugiwara perché sembrava un individuo sospetto… Molto sospetto.

Alle ore 03:00 stava ancora andando via gente, e poi accadde un fatto.

Il signor Fugiwara era sparito. L’ispettore Smith tramite la radio della polizia esclamò: “A tutte le unità di terra, controllate ogni uscita, il signor Fugiwara, il braccio destro del signor Keller, è sparito.”

All’improvviso venne avvistato da un cane della polizia: Fugiwara si era intrufolato in un passaggio segreto della cucina, in questo modo sarebbe uscito inosservato.

Nel frattempo, Adam, porta all’ispettore Smith ciò che ha trovato sul signor Keller.

“Ispettore! È urgente! A quanto pare la vittima era rimasta orfana di madre e padre ed aveva ereditato la fabbrica di famiglia. Però era uno chef, e per questo ha aperto tantissimi ristoranti in giro per il mondo.”

L’investigatore Smith rispose: “Be’, ecco spiegato perché era miliardario, ma adesso parlami di Fugiwara.”

Adam riprese parola e disse: “E’ questo il punto, il signor Fugiwara era il braccio destro del padre del signor Keller! Fu messo alle strette senza poter agire in nessun modo, perché il signor Imar Keller si prese la parte del signor Fugiwara.

Da allora sono passati 30 anni, e per 30 anni il signor Keller è cresciuto con Fugiwara.”

Alla fine del discorso, Fugiwara fu portato dall’ispettore.

Smith iniziò a fare domande al presunto assassino. Chiese: “Va bene, signor Fugiwara, adesso mi dica, perché l’ha ucciso?”

Il presunto assassino rispose: “L’ho fatto per la mia famiglia! Suo padre era mio socio in affari più di 30 anni fa. Avevamo il 50% entrambi, ma per via delle sue grandi conoscenze e per la sua grandissima  sete di potere, mi fece fuori.

Ebbe di diritto il mio 50%, cioè la parte che mi spettava, ed io con una moglie e un figlio rimasi per strada.”

L’ispettore Smith ribatté e rispose: “E così per 30 anni ha badato ad un piccolo orfano miliardario di 10 anni senza aver nessun interesse per la sua ricchezza e i suoi beni… Gli avete fatto da tutore; avete fatto di tutto per fargli accumulare il doppio di quello che Keller già possedeva, e poi l’avete ucciso.

Non avendo nessun familiare, sarebbero passate tutte le sue ricchezze e tutti i suoi beni nelle vostre mani dalla sera alla mattina, visto che siete voi il suo braccio destro, nonché complice in ogni sua mossa.”

Adam, con un tono di voce molto sicuro , disse: “Direi che il caso è chiuso, signor Fugiwara, lei è in arresto, portatelo via.”

L’ispettore, rivolgendosi al suo braccio destro, disse: “Guarda l’orario Adam, sono le 5, la notte è volata.”

Adam rispose: ”E’ vero signore, è stata una notte molto movimentata e piena di colpi di scena.”

L’ispettore disse: “Già amico mio, il mondo è sempre pieno di sorprese.”

E così il signor Fugiwara venne arrestato, e ovviamente non ebbe nulla, tutti i beni del signor Keller andarono a case di beneficenza… a persone che ne avevano davvero bisogno.

 

     Notte di terrore a Milano

di Valentina

Michelle è una ragazza solare, dolce e gentile. Si è trasferita da poco a Milano con i genitori e il fratello maggiore Mirko.

Era la mattina del 5 maggio, e come tutte le mattine, Michelle si era alzata dal letto per andare a scuola.

Davanti al cancello del liceo, incontrò la sua migliore amica Beatrice, che appena la vide le saltò in collo e cominciò a cantare “tanti auguri a te…”, mettendola in imbarazzo davanti a tutta la scuola.

Poco dopo si sentì toccare la spalla e si voltò, vide Alessandro, il suo ragazzo, che in mano aveva un mazzo di rose rosse e  una lettera. Al suo sguardo iniziò a sorridere e divenne tutta rossa.

Dopo scuola andò a casa e si preparò per andare a ballare con Beatrice, Alessandro e suo fratello Mirko. Qualche ora dopo entrarono dentro la discoteca e ballarono, cantarono fino a perdere la concezione del tempo. Michelle si allontanò dal suo gruppo per qualche minuto e successe l’impossibile…

I ragazzi non vedendola si preoccuparono, per di più non rispondeva al telefono. La cercarono per tutta la città e non la trovarono, fino a quando un urlo straziante richiamò la loro attenzione… Si voltarono e videro una signora che scoppiò in lacrime alla vista del corpo senza vita  di una ragazza così giovane. Mirko riconobbe la sorella… rimase lì a guardarla attonito,  senza dire niente, dentro i suoi occhi c’era il vuoto, non sapeva cosa pensare, era come se il mondo non avesse avuto più un senso, come se lui si fosse spento insieme a sua sorella. Gli amici rimasero sbigottiti e iniziarono a piangere.

La signora, dopo essersi ripresa, chiamò la polizia e raccontò l’accaduto. Dopo 10 minuti arrivò l’ispettore Johnson e guardò con desolazione la scena del crimine.

Si avvicinò a Mirko e gli chiese: “Quanti anni aveva… tua… sorella?”  Senza distogliere lo sguardo dal corpo rispose: “Oggi era il suo sedicesimo compleanno… era elettrizzata all’idea di passare una serata con noi… e be’, non è finita nel modo in cui ci aspettavamo.”  L’ispettore gli fece l’ultima domanda: “Dov’eri quando è morta tua sorella?”

Lo guardò negli occhi e rispose: “Eravamo in discoteca,  lei disse che si sarebbe allontanata per andare in bagno… Dopo non l’ho più vista”

Johnson capì che la scena del crimine era stata manomessa… La ragazza era stata uccisa nel bagno e per non far rinvenire tracce, l’assassino aveva trascinato il corpo due isolati oltre il luogo del delitto.

La sera, l’ispettore Jhonson, mentre era a casa a rilassarsi, leggeva il giornale e gli cadde l’occhio su quello che gli parve un indizio molto importante: Marco Malaspina, un ragazzo con problemi psichici,  era scappato dal manicomio, e girava per la città ammazzando le persone. L’ispettore scattò in piedi e andò alla centrale di polizia per fare ulteriori ricerche.

Il giorno dopo fece sapere la notizia alla famiglia della vittima e promise loro  che lo avrebbe trovato e arrestato. L’ispettore andò in giro per la città alla ricerca di questo tristemente celebre killer, ormai su tutti i telegiornali.

Dopo aver girato in mezzo a tanti quartieri, lo vide e di corsa prese la pistola e gliela  puntò alla fronte fino a quando, tutto fiero di se stesso, urlò: “In ginocchio! Mani dietro la testa!”

Dopo l’arresto di Marco Malaspina, non si ebbero più sue notizie.

Il manicomio di  Pennhurst

di Nicole

Martedì 23 novembre 1908 

Era un giorno molto strano a  SPRING CITY. Ero una nuova arrivata in questa piccola cittadina, tutti mi guardavano sospettosamente come se fossi un’intrusa. Ricevetti una chiamata dall’ispettore GEORGE GOMEZ,  mi  disse che c’era un nuovo caso urgente e stimolante. Avrei dovuto investigare sulla  signorina  ELISABETH LOPEZ. Mi occupai del caso ogni giorno da quel giorno.  Trovai un documento  molto vecchio, risaliva al 1900 e c’era scritto che la signorina Lopez era una donna astuta e molto pericolosa, con seri problemi psichici. Aveva ucciso il marito,  SEBASTIAN RULLI, con  5 colpi alla testa e una ferita da arma da fuoco al cuore, ma quello che non riuscivo a capire era dove si trovasse adesso questa donna, ero nella città giusta? Mi feci  molte domande. Presi il telefono e chiamai GEORGE NEW,  il sindaco della  cittadina,  gli chiesi:  “Ha mai notato qualcosa di strano  negli ultimi giorni?  Conosce una certa ELISABETH GOMEZ ? Rispose:  “Sì, ho sentito parlare di questa donna dalla signorina  LINDA BROWN,  la direttrice  del terribile manicomio di PENNHURST. In questi ultimi anni ha ucciso ben 30 persone. Se vuole andare a visitarlo, si trova a 40 minuti da SPRING CITY”.

 

Mercoledì  24 novembre, 1908

Mi alzai in fretta e presi il primo treno che mi portasse al manicomio di PENNHURST, per investigare su ELISABETH LOPEZ.

40 minuti dopo…

…Una volta arrivata mi ritrovai in una zona sperduta piena di insetti e soprattutto… c’era una puzza incredibile. Camminai per 15 minuti  fino ad arrivare alla porta  principale del manicomio, appena aprii la porta c’era un assembramento di persone, sembrava una giungla. Domandai a una infermiera dove potessi  trovare la signorina LINDA BROWN. Mi accompagnò fino ad arrivare dalla signorina LINDA. Percorremmo il lungo corridoio e su ogni porta c’erano antiche tracce di sangue. Tutto ciò era molto sospetto. Presi appunti su tutte le cose bizzarre che vedevo   nei corridoi. Arrivammo nel corridoio numero 45. L’infermiera mi disse: “Cammini fino in fondo  e giri a sinistra e  poi a destra e troverà una porta nera. Lì troverà la direttrice. Prima di entrare, suoni alla porta, arrivederci”.  Bussai e mi accolse la  direttrice, seduta su una poltrona di pelle nera. Mi guardava  sospettosamente e avevo  molta paura. Mi disse: “Si sieda, signorina, come si chiama?”  “Mi chiamo ANGELIQUE BOLLER, sono un’investigatrice. Sono venuta a risolvere una caso che è rimasto insoluto per molti anni…. “

“A cosa le servo io, ANGELIQUE BOLLER?”

“So che lei ha conosciuto ELISABETH LOPEZ, la grandissima criminale di  SPRING CITY, scomparsa da 8 anni. Ho bisogno che lei mi dica tutto su questa donna”.   “Ascolti molto bene, le dirò tutto,  ascolti attentamente e prenda appunti…”

ELISABETH LOPEZ  è mia sorella, la polizia ci cercava  e un tempo la nostra vita era piena di problemi. Ci nascondemmo in  Colombia  e uccidemmo più di 50 persone. Lo abbiamo fatto per denaro e per la droga. Quando abbiamo trovato ostacoli, abbiamo fatto fuori i nemici. Ricordo che ELISABETH andò in  PERU  per un incarico. Lì incontrò un modello, SEBASTIAN RULLI, era un uomo meraviglioso, ma lui non sapeva nulla della sua vita. Lei voleva avere figlie, una famiglia, ma  con la vita che faceva non poteva  rischiare. Passati 5 anni, mi mandò una foto di due belle bambine, erano bellissime e dolci, io non potevo vederle perché ero nascosta.

Passarono dei mesi e suo marito scoprì la vita che aveva mia sorella e che in verità non era una donna con un passato rispettabile.  Lui decise di andarsene. Mia sorella  prese la pistola e lo uccise, scappò con le bambine e non seppi niente di lei.  Ho saputo da poco che adesso si trova qui a SPRING CITY, ma non so dove. L’ho cercata ma niente, le bambine sono in grande pericolo con lei, quindi se vuole la posso aiutare. Mia sorella è molto pericolosa, siamo cresciute da sole perché nostra madre  ci abbandonò alla sorte. Mio padre morì  e dovevamo mantenerci, così cominciammo  con la droga. Io ora scontato la mia pena e dirigo questo manicomio.” Presi appunti e dissi a Linda che avrei fatto del mio meglio per trovarla .

Ultimo giorno del caso

Il caso doveva essere risolto entro oggi e ancora non  avevo trovato ELISABETH. Io  e la mia squadra  ci mettemmo a lavorare. Dopo alcuni importanti indizi trovammo la casa di ELISABETH. Le bambine erano sul terrazzo,  voleva  ucciderle e scappare.  Era completamente folle. Salì  sul terrazzo con Linda,  ELISABETH le disse: “SORELLA, ERAVAMO UNITE UN TEMPO, AVEVAMO TUTTI I SOLDI DEL MONDO E TU MI RIPAGHI  PORTANDO LA POLIZIA, NO, NO!” Le puntò la pistola alla testa e le sparò. Gettò le bambine dal terrazzo, ma non sapeva che lì sotto era stato disposto  un materasso. Le bambine si salvarono, ELISABETH scappò, non riuscii a prenderla, era così veloce e astuta che neanche il mio TEAM  riuscii a prenderla. Era scappata di nuovo e il caso di SABASTIAN RULLI  rimase senza che fosse fatta giustizia. Avvisammo tutti, perché ci contattassero in caso di informazioni.  Linda mi chiamò in ufficio e mi disse che sua sorella si trovava al manicomio… Uff, finalmente ora potrò risolvere il caso di SEBASTIAN RULLI .

Settembre 21, 1950

Passarono molti anni e il caso fu  risolto. Io ritornai a casa dalla mia famiglia. Smisi di essere investigatrice, era un lavoro troppo  pesante per me.  Sentii  bussare alla porta, aprii e mi ritrovai  davanti  ELISABETH LOPEZ. ”SONO RITORNATA. BANG BANG!“

FURONO LE ULTIME PAROLE DI ANGELIQUE.  LA SUA MORTE  FU ASPRA E CRUDELE .  IL 25 SETTEMBRE 1950 FU SEPPELLITA. LA SIGNORINA ELISABETH  LOPEZ E’ ANCORA IN QUESTO PAESE E UCCIDE PERSONE SENZA MOTIVO .

 

 

 

 

 

Un giorno da Storyteller…

Oggi in Prima triennale abbiamo fatto un “esperimento”… Per insegnarci a utilizzare il passato remoto, a concordare i verbi e per sviluppare la nostra creatività, la prof. di Lettere ha portato in classe alcuni dadi su cui erano raffigurate immagini diverse (una mongolfiera, un gelato, un panino un gatto, un uccellino, un camper, un autobus ecc)… A turno abbiamo  tirato i dadi: a seconda delle immagini che vi erano sopra, ognuna di noi ha dovuto inventare una parte di storia… Ecco come sta andando per ora, inizia Lisa… Tieni presente che sembra facile, ma non lo è affatto!

Questi sono i dadi che abbiamo usato!
Questi sono i dadi che abbiamo usato!

Lisa: Daniel, la mattina del suo ventottesimo compleanno, si concesse di svegliarsi a mezzogiorno. Il sole bruciava l’asfalto e stare dentro al camper  era diventato insostenibile. Decise così di affacciarsi alla porta e dare un’occhiata in giro. Nei dintorni non c’era anima viva e si sentiva soltanto il frinire delle cicale nella calura estiva. Mentre scartava il suo gelato, si incamminò verso la vicina stazione dei treni come tutti i venerdì. Al termine della scala di marmo che conduceva alla stazione, vide una valigia abbandonata vicino ad una ringhiera. Dopo aver aspettato una buona mezz’ora, prese la valigia e si diresse verso un bar che stava all’isolato accanto, dove ordinò un caffè macchiato. Girò il caffè e lo mandò giù piuttosto velocemente bruciandosi la lingua. Si decise ad aprire la valigia e al suo interno trovò una serie di camicie hawaiane, un reggiseno di noci di cocco e una gonnellina di fili di paglia. In fondo alla valigia scorse un bigliettino con un numero di telefono e un nome di donna: Rosa. Sulla strada del ritorno, si fermò ad un Fast Food maleodorante.

Jessica: Daniel prese il telefono e chiamò questa misteriosa ragazza. Dall’altra parte del telefono si sentì una voce allegra e gentile. Le disse di aver trovato una valigia contenente il suo numero di telefono e si misero d’accordo per vedersi l’indomani mattina. La nottata fu lunga e il sonno agitato: alla mattina Daniel era in un bagno di sudore, si lavò, si vestì e si diede il profumo. Arrivò all’appuntamento in perfetto orario, ma di Rosa non c’era traccia, così si mise al tavolo e l’aspettò per circa un’ora. Stava perdendo le speranze quando a un tratto entrò nel locale un’affascinante ragazza dai capelli lunghi e rossi, occhi chiari, di statura piuttosto bassa e magrolina. Si intesero con una sguardo,  sedettero vicini e fecero colazione. Parlarono del più e del meno e Rosa gli disse che la settimana successiva sarebbe partita per le Hawaii. Quella sera Daniel, ripensando alla ragazza si rese conto che aveva suscitato il suo interesse, così le fece una telefonata chiedendole di uscire  il giorno dopo.

Rita: La mattina Daniel andò a prendere Rosa a casa sua con il motorino. Il suo viso sprizzava felicità da tutti i pori. Appena arrivò a casa della bellissima nuova amica, le disse che l’avrebbe portata alla fattoria a fare una passeggiata, lei accettò con grande entusiasmo. Lungo la strada si fermarono a prendere un caffè americano, scambiarono qualche parola e lui percepì che il suo interesse era intenso e ricambiato. Tutto a un tratto, Daniel tirò fuori dallo zaino un pacchetto regalo rosa shocking. Quando Rosa, piuttosto sorpresa, lo scartò, ci trovò dei bellissimi occhiali di Dolce&Gabbana, lo fissò negli occhi e gli disse: ”Veramente c’è un malinteso, io sono fidanzata!” BANG!!!. In quel mentre, scese da un Audi A3 nero fiammante, un bel ragazzo alto, moro e con bellissimi occhi azzurri  come il cielo. Si avvicinò a Rosa, le prese la mano e le disse: “Tesoro, hai finito?” dandole un bel bacio appassionato.

Greta:  Daniel sbiancò, e per l’imbarazzo decise di andarsene. Prese la macchina e tornò di corsa al suo camper. Sbattè la porta e si abbandonò sul letto con la testa ancora piena di pensieri. Rosa e il suo ragazzo, invece, restarono al bar perché Marco, il fidanzato, voleva mangiare un gelato. Nel profondo Rosa era dispiaciuta per quanto  successo: quel ragazzo si era preso una bella cotta per lei. Con un gesto rapido prese gli occhiali che lui le aveva regalato e se li mise, salutò frettolosamente Marco e scappò a prendere l’autobus.

Camilla: “Pronto, Daniel, sono io, Rosa. Credo di doverti delle scuse… Possiamo rivederci il prima possibile? Ti aspetto al fast food vicino al tuo camper”. Daniel dopo aver ascoltato il messaggio in segreteria, si mise gli occhiali da sole, prese la sua bicicletta e raggiunse il fioraio più vicino dove comprò una rosa screziata. Appena si videro, il cuore di entrambi batté all’impazzata, si strinsero in un abbraccio e Rosa gli chiese scusa in lacrime. Daniel con calma e pazienza la rassicurò dicendole che lui aveva frainteso e che non era accaduto nulla di grave. Le asciugò le lacrime: “Ti va di tornare alla fattoria?”. Il sorriso di lei bastò come risposta.

Elena : Gli animali scorrazzavano tranquilli e il profumo dell’estate inoltrata era ovunque nell’aria. Rosa e Daniel giocavano a rincorrersi, quando lui le prese la mano e poggiarono contro un tronco di un albero. Una fitta pioggerellina iniziò a bagnare le foglie degli alberi, che cominciarono a gocciolare sul viso della ragazza. Daniel la strinse in un dolce abbraccio e la baciò. A casa sua, Marco guardò l’orologio: Rosa era sparita già da due ore e non rispondeva ai messaggi. La gelosia mista a preoccupazione cominciò a segnargli il volto.

Alessia : La rabbia di Marco stava crescendo e anche il numero dei suoi messaggi per Rosa. Quando la ragazza vide il cellulare si sentì profondamente in colpa e corse da lui prendendo l’autobus. Sui sedili posteriori un movimento attirò la sua attenzione: si avvicinò per vedere meglio. Un batuffolo di pelo nero stava riposando tutto tranquillo. “Ciao, bel gattino! Cosa ci fai qui da solo?” Sporse dal fondo un musetto e due occhietti azzurri la fissarono. “Ciao, Rosa! Ti sto seguendo da un po’ di tempo… Rosa restò scioccata: non poteva crederci, il gatto le stava parlando! Chiacchierarono per tutto il viaggio, quando il gatto le disse che doveva prendere una decisione tra Daniel e Marco. Scesi dall’autobus, i due raggiunsero il bar vicino a casa di Marco per mangiare qualcosa. Marco vide quell’insolita coppia pranzare sotto casa sua e scese le scale di corsa. Dentro al bar, notò gli occhiali da sole nuovi fiammanti e le chiese da dove venissero. Rosa restò in silenzio. Daniel, che aveva preso il camper per cercarla dopo la sua fuga improvvisa, li vide attraverso la vetrata passando di lì.

TO BE CONTINUED…   🙂

Hai qualche suggerimento per la nostra storia? Seguici per sapere come andrà a finire e lascia un commento!

 

 

Premio letterario. And the winner is…!

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Quest’anno, la nostra insegnante di Lettere ha organizzato un concorso letterario che ha coinvolto tutta la scuola. La vincitrice è risultata Valentina Tedone di Terza triennale, con un bellissimo racconto che pubblichiamo qui di seguito.

LA NATURALE BELLEZZA DI OLIVIA

di Valentina Tedone

Nei pomeriggi freddi e ventosi di dicembre una giovane ragazza passa le sue giornate in giro nelle campagne, dove di solito incontra qualcuno con cui chiacchierare… L’aria è colma di strani presentimenti, la testa della giovane fanciulla esplode di confusione e tristezza, lei che sempre ammazza le giornate con birra e sigarette si ritrova ad essere fragile e sola in mezzo alla folla. Si può scorgere un’ansia pesante che lei con tutti gli sforzi nasconde e camuffa con timidi sorrisi accavallando le gambe. Finché non cala la sera, lei rimane lì ad aspettare qualcuno, qualcosa, qualcosa che quando non arriva le lascia una grande delusione, dopodiché si alza da quella fredda e alta panchina e si allontana verso casa.

Il giorno seguente, neanche scoccate le 6.00, Olivia, dopo aver accudito i capretti della mamma e i 2 giovani vitelli di papà, già è in giro in mezzo al verde degli alberi, al celeste del cielo ed al nero luminoso dei cavalli selvatici che incontra ogni giorno. Ma sempre quella triste aura la avvolge, come se avesse bisogno di una persona che la faccia sentire bella e felice come in mezzo ad una folla e non di una folla che la faccia sentire sola e inutile. Ed ecco la risposta: Olivia, dopo un lungo sospiro, tira fuori il suo antiquato telefono. Risponde un ragazzo che le butta in faccia una bugia, come tutti i giorni, dicendole che sarebbe venuto in ritardo a trovarla e non alle 2.30 come concordato. Lei fiduciosa non se la prende, metterebbe entrambe le mani sul fuoco sul fatto che lui sarebbe venuto, se pur in ritardo.

“D’accordo, tesoro, ti aspetto, se ci sono dei problemi però chiamami.”

Lui dopo aver acconsentito sparisce, e lei si addentra negli amati boschi fino a una delle sue fidate panchine, apre una birra, accende una sigaretta e si concede un po’ di relax.

Il panorama è mozzafiato lì. Una sera buia decide di trascinare la panchina lassù, è stanca di passeggiare a valle in mezzo ai pochi occhi lunghi dei vicini di casa e vuole godersi la sua privacy sotto le stelle e lontano da tutto e tutti. Quel posto è come un santuario per lei, poiché è una piccola area pianeggiante, situata sopra un’alta collina, coperta da molti alberi grossi e sempreverdi da tutti i lati, tranne dal lato che porta a valle, dove si vede anche il mare. Arrivare in questo santuario richiede molto ingegno, poiché il sentiero è stato creato e camuffato da lei stessa appositamente per non farci arrivare nessuno. Il sentiero è impercettibile, sembra un qualunque punto del bosco. Da piccola Olivia amava collezionare oggetti, qualsiasi tipo di oggetto che le piaceva lo portava lassù, lo metteva in questo quadrilatero di pietre e mattoni, ovvero i resti di un rudere ormai decomposto da acqua e vento e nascosto dagli stanchi rami delle querce. Ogni tanto andava riguardare quegli oggetti, come se ognuno di loro avesse una storia importante. Perché conservare braccialettini, ciondoli, soprammobili e ogni altro oggetto lassù, in un posto cosi esposto e sconosciuto, perché semplicemente non tenerli dentro un portagioie in casa? Nonostante il suo carattere forte e curioso, il suo viso dolce ma deciso, il suo cuore leggero ma triste, Olivia si è sempre sentita sola, per questo raccoglie i momenti più belli della sua vita all’interno di quel portagioie dentro quel vecchio rudere, insieme a bigliettini che parlano di lei. Forse Olivia è sempre stata sedotta dal fatto che qualcuno avrebbe potuto trovare il suo posto speciale; che nel presente o nel futuro qualcuno avrebbe potuto scoprire il suo portagioie, trovare i suoi ricordi e i suoi bigliettini e avrebbe potuto chiedersi “chi mai sarà stata questa ragazza?”, “che persona mai sarà” o “che persona mai è stata?” “Era curiosa o era noiosa, era sorridente o cupa, era bella o era brutta?” Dopo aver finito la birra, Olivia scrive un altro biglietto con il suo nome e la data.

Scoraggiata, chiama il suo ragazzo, che non si degna di rispondere, così decide di perdere tempo andando alla ricerca di animali graziosi e sfuggenti da accarezzare prima che calino le tenebre nei boschi.

Miaà, miaà, si ode leggero e debole sull’orecchio della fanciulla, che immediatamente si ferma, si volta, cammina in tondo alla ricerca della direzione di quel fragile suono. Avvicinandosi sempre più a un dirupo, scorge delle macchie bianche e marroni nel verde scuro del bosco, quasi immobili, che miagolano e si stringono tra di loro. Olivia esce correndo dal nascondiglio, diretta a valle per prendere della paglia e una coperta di lana. I genitori la salutano gioiosi, un po’ perplessi e curiosi per la sua fretta ma non hanno neanche il tempo di guardarla nel viso che lei sta già sparendo sulla collina, intenta a salvare quei piccoli scriccioli. Si precipita di corsa e con il fiatone sopra quel tortuoso dirupo: i cuccioli sono ancora tutti insieme e soli. Comincia a calarsi con attenzione giù per il crepaccio, profondo non meno di 3 metri, ma scivola su un cespuglio e cade vicino ai cuccioli che, terrorizzati, si raggomitolano tra loro e si nascondono tra le piante. Ancora sdraiata sul terreno e con la schiena indolenzita, Olivia sottovoce si rivolge ai cuccioli:

“Dolci creature innocenti! Siete tutti umidi e freddi, e posso scorgere le vostre piccole e sottili costole e le vostre ancora morbide scapole. Vi farete portare al sicuro da me? Vi fidate di questa sbadata e sconosciuta umana? Con delicatezza riesce a mettere tutti e 4 i cucciolini affamati nello zaino e si affretta a tornare su al nascondiglio per avvolgerli con paglia e lana, dopodiché corre a casa per mostrarli alla mamma, che ama i gatti.

“Olivia, tesoro, dove sei scappata così di corsa prima?”

Appoggia lo zaino sul tavolo sorridendo e va giù nella stalla a prendere un po’ di latte, torna in casa e trova la mamma con le mani nello zaino e le lacrime agli occhi:

“Sono così piccoli, morbidi e indifesi! Tesoro, dove li hai presi?”

“Li ho trovati da soli nel bosco, nascosti sul fondo di un piccolo dirupo. Tieni, dà loro questo latte fresco con un contagocce, io vado a mettere gli agnellini insieme, così portiamo i gattini al sicuro in stalla al calduccio!”

Dopo aver messo i cuccioli al caldo nella stalla e averli accuditi, torna su al rifugio e aggiorna il bigliettino precedente scrivendo del suo dolce ritrovamento. Poi resta lì sperando che la mamma dei piccoli si presenti, ma neppure dopo 2 ore vede qualcosa. Mentre torna a casa, riceve una chiamata dal suo ragazzo. Guarda per qualche secondo il telefono squillare, poi butta giù e decide che nessuno la merita, non perché sia perfetta o la migliore, ma perché nessuno l’avrebbe mai capita, nessuno l’avrebbe mai fatta felice veramente. Da quel giorno Olivia inizia a visitare il suo rifugio tutti i giorni aspettando la mamma dei piccoli, perché qualcosa le dice che è in giro a cercarli preoccupata. Nell’attesa dipinge e colora i resti delle mura del suo rifugio, e appende disegni e ciondoli nelle fessure tra i mattoni, mentre Kendra, Masha e Molosso crescono gioiosi, sani, giocosi e con solidi artigli.

La fanciulla decide di scrivere un ultimo biglietto: Molti scelgono di vedere la bruttezza in questo mondo, io scelgo di vederne la bellezza. Forse un giorno lo saprà, forse un giorno saprà che ho trovato il suo rifugio, forse saprà che potevamo diventare amici, forse saprà che l’ho inseguita un sacco di volte e ho celato le mie orme dietro i boschi, o forse, molto più probabile, non saprà mai niente di questo, neanche che era una ragazza speciale e diversa ….

Già, forse non lo saprà mai.

Diario di Marcus

 

Favola medievale

pisanello_011di Elena

Caro diario vecchio e malandato, oggi mi ritrovo qui in quella che si direbbe la mia stanza, con un letto di legno e paglia e qualche straccio sparso sul pavimento. Quanto mi piacerebbe vivere da nobile…farebbero tutto gli altri, vivrei in un castello bellissimo e indosserei tanti nuovi abiti. Ma ahimè, questa è la mia umile vita da sarta. Sento mia madre chiamarmi, mi dice che dobbiamo andare a vendere i vestiti che ho cucito ieri notte.  Scusa, caro diario, ora devo proprio andare.

Scendo le scale e trovo mia madre pronta per andare al mercato. “Coraggio, Elena, andiamo!”…”Sì, madre.” Rispondo sospirando. Dopo poco arriviamo in strada, esponiamo i vestiti e aspettiamo nuove persone. Ad un certo punto passa  una carrozza, dalla quale intravedo uno sguardo femminile. La carrozza si ferma tutto d’un tratto, quasi mi spavento; ne esce una giovane ragazza nobile. Alta, snella, con lunghi capelli dorati raccolti in una bellissima acconciatura. Indossa un vestito ampio con uno strascico lungo 2 metri color crema e ornato da pizzo color oro. Si avvicina lentamente a me con aria amichevole, e mi chiede sorridendo: “Quanto costano questi vestiti meravigliosi?” Io rispondo: “ 10 monete, signorina”. Le sorrido. Lei risponde “ Benissimo, allora ne prendo 5”. Preparo i vestiti, li piego e glieli do. La misteriosa ragazza mi paga. Poi se ne va, dopo aver salutato gentilmente. Torno al mio lavoro e vedo passare il figlio dell’imperatore, Nicolò, il quale era solito a passeggiare nel mercato nel tempo libero. Quanto è bello… Avevo preso una cotta per lui all’età di 10 anni e adesso all’età di 15 anni deve scegliere la sua sposa, se solo potesse scegliere me…Ma che dico! Come potrebbe un nobile innamorarsi di una come me. Mentre penso a tutto questo, Balto, il mio cane, scompare. Preoccupata lo cerco per tutto il mercato, dalle grandi vie a quelle più piccole e strette, e alla fine lo trovo. “Oh, mio Dio, è vicino al figlio dell’imperatore!  Preoccupata, lo richiamo e vado da lui. Nicolò mi sorride e mi dice: “Che bel cane, è tuo?” Io arrossisco e rispondo: “Ehm, sì”. Lui capisce subito che mi sento a disagio e forse per farmi intuire il suo interesse mi chiede come mi chiamo. Gli rispondo “Elena” e lui sorridendo mi dice: “Che bel nome, bella fanciulla” . Mi sento sprofondare e arrossisco. Lui mi guarda negli occhi e mi sorride dolcemente. Gli dico che si sta facendo tardi e che devo andare, mentre mi volto mi stringe un polso e mi dice: “Ricordati che sei una bellissima ragazza “. Mi bacia la mano e mi dice che gli avrebbe fatto piacere se fossi andata al ballo del castello che si sarebbe tenuto la sera dopo. Gli rispondo sorridendo che ci sarei andata. Ci salutiamo. Una volta nella mia stanza, mi butto sul letto felicissima e urlo di gioia. Poi la felicità sparisce e iniziano ad assalirmi le preoccupazioni riguardo l’abito che avrei dovuto indossare. Decido di cucirlo da sola. Esco e torno al mercato per comprare nuove stoffe. Visto che qualche ora prima la ragazza della carrozza mi aveva pagata abbondantemente potevo permettermi stoffe più pregiate, scelgo quella bianco crema e del pizzo bianco panna per la gonna ampia e sfarzosa. Lavoro duramente tutta la notte ma alla fine l’ho creato, il mio prototipo di abito è riuscito ed è bellissimo. Ha il corpetto con una scollatura semplice e una gonna ampia che finisce in uno strascico non troppo lungo. La gonna è anche ornata di pizzo bianco panna. Alla sera del fatidico giorno sono molto tesa e ansiosa ma anche felice e vado da mio fratello Brando. Aspetto che sia pronto e poi andiamo. All’entrata del castello vi sono guardie, le quali ci fanno passare dopo qualche minuto. Appena entrati rivedo la ragazza della carrozza, è ancora più bella del giorno prima. Decido di andarle a parlare e subito facciamo amicizia. Le presento mio fratello e lei arrossisce e rimane stupita come se lo conoscesse già. Allora sorrido e dico “ Vi lascio un po’ da soli così vi conoscete meglio.” E decido di andare a cercare Niccolò tra la folla. Sono nervosa, lo ammetto, ma ho tanta voglia di rivederlo. Eccolo lì che scende le lunghe scalinate del castello, mi vede e mi viene incontro. E’ bello come sempre, mi prende la mano, la bacia nuovamente e mi dice: “ Sei ancora più bella di ieri, principessa”. Io gli rispondo: “Grazie” e mi metto una ciocca di capelli dietro le orecchie. Lui non resiste e mi bacia sulla guancia. Lui sorride,mi prende per mano e mi porta a ballare. Mentre balliamo parliamo a lungo. Poi gli chiedo se avesse già scelto la sua sposa e lui risponde di sì. Il mio sorriso diviene triste, sto per svenire. Lui ride ed esclama: “ Non ti ho ancora detto chi sarà la mia sposa”  “ Chi sarebbe?” chiedo.  “ Tu!” Sento le farfalle nello stomaco, si avvicina a me e mi bacia dolcemente. Dopo un mese circa sia io che Ginevra ci sposiamo. Lei con mio fratello Brando ed io con il ragazzo che amavo sin da bambina, Niccolò.  Siamo andati tutti a vivere nel suo castello dove ancora oggi siamo vicini e contenti.

Il quartiere

img-20161108-wa0003di Alessia Vaccarella

Un po’ di verde e del grigio, questo è quello che si trova nel mio quartiere, la Chiappa.
Aria di freschezza e profumo di pane, un quartiere abbastanza luminoso in estate, quando c’è il sole, molto cupo e grigio in inverno, autunno e nelle giornate più piovose. Come in ogni quartiere, puoi trovare persone di diverso tipo. Persone di una certa età, che amano la loro zona, la loro città, per tutte le ricchezze o le gioie che le rendono fiere di farne parte. Ogni mattina, anziani si svegliano per poi andare nei bar dei dintorni a consumare una sana colazione accompagnata da discorsi e a volte anche pettegolezzi, dandosi appuntamento, per continuare la loro chiacchierata mattutina facendo due passi,oppure organizzandosi per il pomeriggio. Bambini di tutte le età che girano per la Chiappa come se fosse un parcogiochi, piccoli pezzi del quadretto familiare che dipinge questo quartiere. Gruppetti di fantelli alla ricerca dell’avventura che purtroppo possono avere solo nei dintorni, che amano stare insieme o meglio fare lavoro di gruppo. Masse di ragazzi di una certa età, tra i 14 e i 24 anni, che si ritrovano nella “piazzetta”, luogo che per i  più grandi viene considerato di “culto”, o meglio ancora una
“casa”. Ogni singolo giovane della Chiappa è passato per quella piazza, quasi come se fosse un passaggio dell’adolescenza, obbligatorio.
Tutti i pomeriggi dalle 16-16.30 se non prima,  i ragazzi si ritrovano e stanno insieme fino all’ora di cena. La sera invece tra le 21-21.30, dopo cena, si vedono quelli più grandi, che dopo una giornata intera di lavoro si ritrovano per scambiare discorsi e per rilassarsi insieme, dedicando un po’ di tempo a se stessi. In teoria la piazzetta
comprende due gruppi diversi, che a volte sono uniti in un unico gruppone. Il gruppetto dei “piccoli” è formato da ragazzi che hanno iniziato ad uscire pochi anni fa, tra il 2012-2013, e quelli “grandi” che qui sono nati, si sono conosciuti e sono cresciuti insieme. Spesso e volentieri, quando la sera i ragazzi si ritrovano lì e sono in compagnia di altri  cresciuti nel nostro quartiere, subentrano altri gruppi, come quelli di Rebocco, Fossitermi e addirittura Migliarina. A tutti basta venire in quella piazza per non pensare ai problemi, ragazzi che in quella piazza hanno trovato il primo amore, quello che per alcuni può essere l’unico o quello vero, l’amicizia, quella vera, il significato di famiglia, di fratellanza, di cosa voglia dire “aiutarsi”o addirittura pararsi le spalle a vicenda. Fantelli che si sono voluti bene, odiati due secondi dopo, oppure persone che prima non si sopportavano, fare gioco di squadra e legare come veri e propri fratelli. Per molti quella piazza può essere solo un angolo di quartiere, il nulla più totale, ma per altri, parte della vita, infanzia, adolescenza come per me, magari il futuro per i piccoletti. Un tempo non c’era tranquillità, tutti erano scalmanati, euforici e anche pericolosi, ma crescendo abbiamo e soprattutto hanno, imparato che si matura e ci si dà una regolata, sia per se stessi che per il rispetto altrui. Proprio per questo noi della Chiappa definiamo il nostro quartiere una casa, una famiglia o un luogo di culto. Sono fiera del mio quartiere e della mia gente.

Il ritratto

Insieme all’insegnante di Lettere, noi di prima triennale ci siamo divertite a delineare i ritratti di alcune persone care, focalizzandoci sia  sull’aspetto fisico sia su quello interiore.

 

di Iris Lodola

Il mio ex

Tommaso, che conobbi ormai tre anni fa a scuola, quando andavo ancora alle medie, ha sconvolto tutta la mia vita.

All’inizio non andavamo molto d’accordo, non eravamo neppure amici.

Poi, dopo il mio primo anno di medie, abbiamo iniziato a vederci e a provare interesse l’uno nei confronti dell’altro.

Dopo 4 o 5 mesi ci siamo messi assieme. Posso dire di essermi innamorata per la prima volta. Amavo e amo tuttora il suo carattere, i suoi difetti, la sua gelosia improvvisa, il suo cambiamento d’umore, il suo aspetto esteriore ed interiore e… se continuo potrei non smettere più.

Io e Tommaso siamo stati insieme per un anno e mezzo e in questo lungo tempo lui mi aveva fatto dei torti che io non gli ho potuto perdonare, così ho voluto mettere la parola fine.

Ha 16 anni, suo padre si chiama Massimo, sua madre Barbara, la sorella Emma e sono sicura che farebbe di tutto per proteggerla ed è questo che lo rende una persona dolce e di buon cuore.

Di statura è alto e magro, ha un fisico ben sviluppato che per me rimane sempre il migliore, i suoi occhi sono una mescolanza di colori fra il verde, il marroncino e il giallo. Le sue labbra sono molto carnose e i capelli mediamente lunghi e sempre mossi. Il suo viso è molto fotogenico, ha gusto nel vestirsi, la sua voce è delicata e la sua carnagione è chiara ma non troppo.

Ho notato che quando è nervoso si mangia le unghie o le pellicine delle dita della mano.

Tommaso è davvero un ragazzo speciale. Ha molta paura dei ragni e di perdere le persone a cui tiene.

Come dice lui, gli amici li conta sulle dita di una mano e infatti per me lui è stato sempre un esempio da seguire, anche se questo non l’ha mai saputo.

E’ un ragazzo tranquillo, non si mette mai nei guai, o almeno ci prova.

Non gli importa nulla dei giudizi degli altri e questa è un’altra cosa che amo di lui.

Fa credere di avere molta autostima, ma alla fine non è affatto così perché cerca sempre di essere al meglio quando invece dovrebbe sapere che è perfetto così.

Fa sempre ridere e fa stare bene le persone ed anche se a volte prende in giro, non lo fa con malizia. Sottovaluta molto la sua intelligenza ma non si rende conto di quanto sia in gamba quando si ci mette di impegno.

Per esempio, l’anno scorso non andava quasi mai a scuola e non faceva mai i compiti solamente perché non aveva voglia di studiare.

L’unico suo difetto, che non riesco ancora a sopportare, è quando ti guarda con quello sguardo da persona superiore ed anche se sai che ti ha in pugno, cerchi di tenergli testa ma alla fine te la fa perdere.

Un giorno ricordo che mi aveva confessato di avere fatto lo stupido con una del posto, io mi arrabbiai con lui e non gli parlai per un po’. In seguito, un pomeriggio, mentre stavo per salire in corriera mi prese la mano e mi fece girare, mi guardò con quello sguardo orgoglioso e mi chiese scusa. Dissi all’autista della corriera di andare e abbracciai Tommaso più forte che potevo.

Ammetto che ora mi manca, veramente tanto. Ma ormai ci siamo persi entrambi. La nostra storia è come un filo troppo sottile che non ci lega e non ci sostiene più, ma in fondo non si può spezzare.

 

Mia madre

di Giulia Triacca

Avrei dovuto scrivere del mio ex, ma non me la sento, voglio scrivere della persona che ho amato di più in assoluto… La mia mamma, che purtroppo non c’è più…

Lei era bella, bellissima, aveva due occhi a mandorla, marroni scuro. Dove dentro potevi leggere.

Aveva quel non so che dentro di troppo bello, qualcosa che non tutti hanno, non so nemmeno dire cosa, ma insomma, era mia mamma, è normale che pensi queste cose!

Avevo 9 anni quando l’ho vista cadere davanti ai miei occhi, nella mia scuola.

Ho visto tante cose per avere solo 15 anni, ma penso che da una parte sia un bene non aspettarsi niente da nessuno.

Quella scena rimarrà nei miei occhi per sempre.

Dopo qualche anno dalla sua morte, ho iniziato a capire come gira il mondo, che non è tutto rosa e fiori ma devo sapere che ogni mia azione ha la sua conseguenza.

Nonostante i brutti momenti, non sono mancati quelli felici, tante cose le ho ho superate grazie ai miei

amici, magari la sera che non mi sentivo troppo bene, magari per i miei mille pensieri, c’erano loro, in casa a guardare uno stupidissimo film, oppure a farci un giro in motorino senza sapere dove andare.

Le mie compagne di scuola

di Alessia Lazzerini

Caro diario,

oggi vorrei parlarti di un’amica che si chiama Antonella, è una ragazza molto solare e simpatica. Mi fa sempre ridere.

Ci siamo unite in un gruppo. Forse siamo le più pazze della classe! Del nostro gruppo fanno parte: Natascha, Ilaria, Sabrina e Antonella. Ne combiniamo davvero tante!

Il 17 Settembre siamo andate al centro commerciale Le Terrazze per stare un po’ insieme e per conoscerci meglio… Gli voglio un mondo di bene, spero di avere una bella relazione con loro, ci divertiamo sempre tanto.

Antonella mi aiuta sempre anche nei momenti più no. Lei è la mia topina dolce perché quando è arrabbiata bisogna lasciarla stare, altrimenti diventa furiosa. Se qualcuno mi tocca, lei mi difende sempre.

Appena l’ho conosciuta mi è sembrata molto divertente e altruista. Inoltre non ho mai avuto una amica così pazza!

Sono molto contenta di aver conosciuto queste ragazze… Quando siamo incavolate però non ci considerate perché altrimenti vi attacchiamo al muro!

Antonella ha 14 anni, è una ragazza molto serena. Ha gli occhi color Nutella, è magra ed è bellissima. Ilaria ha quasi 14 anni, è molto socievole e un po’ timida e soffice. Natascha ha 15 anni, magrolina e molto dolce con me e mi aiuta nei momenti più difficili. Con Sabrina non parlo molto ma credo di dover approfondire la conoscenza.

Se qualcuna di noi  è offesa per qualche motivo, lo dice senza farsi problemi, e questo mi piace molto. Odio chi va in giro a spettegolare senza portare rispetto!

Poiché Natascha lavora per AVON, un giorno ci siamo divertite ad andare in giro con lei per le strade di Sarzana proponendo i prodotti ai passanti. Purtroppo non siamo riuscite a vendere nulla, ma ci siamo fatte un sacco di risate e abbiamo approfondito la conoscenza reciproca.

Caro diario, ti farò sapere tutto quello che succederà durante questi tre anni insieme!

 

La storia di mia nonna: ricordi della seconda guerra mondiale

 

 di Gaia Gabetti

Anna, la mia fantastica nonna, è nata nel 1938. Alla fine della seconda guerra mondiale aveva circa 7 anni, ma malgrado la tenera età ha ricordi ancora accesi di alcuni avvenimenti. Quando me ne parla i suoi occhi sembrano riempirsi di lacrime, forse ricorda ancora la paura e il terrore che in quel periodo li perseguitava.

Lei e la sua numerosa famiglia abitavano in una umile casa di campagna nei pressi di Follo. In quel periodo la campagna era piena di famiglie sfollate per sfuggire ai bombardamenti che avvenivano maggiormente nelle città.

A volte i soldati tedeschi penetravano le campagne per fare dei rastrellamenti. Mia nonna mi ha raccontato che suo padre aveva fatto una buca in mezzo ai campi che potesse contenere l’intera famiglia, e quando sentivano le truppe tedesche marciare verso la loro abitazione correvano a nascondersi dentro questo “piccolo rifugio fai da te” ricoprendo poi il buco con legni e frasche, alle volte stavano lì dentro per intere giornate, al freddo e al buio, tutti stretti uno contro l’altro sperando che il loro piccolo bunker bastasse a sfuggire agli occhi attenti dei tedeschi.

Mia nonna accennando una tenera risata mi disse che, per non aver scovato il loro grossolano rifugio, questi spaventosi tedeschi non dovevano essere stati poi tanto svegli o che forse facevano finta di non vedere.

Secondo i suoi racconti, in paese, dei giovani partigiani uccisero un soldato tedesco ubriaco e il giorno seguente i militari tedeschi per rappresaglia portarono via dal carcere del 2 Giugno quattro ragazzi di Follo, radunarono tutto il paese in piazza per assistere all’impiccagione di quattro giovani innocenti. Anche questo ricordo segnò e forse segna ancora la vita di mia nonna. Questa fu un’ennesima dimostrazione di chi a quei tempi comandava. Ma la cosa che tutt’ora le è rimasta più impressa è quando venne ucciso il suo migliore amico e vicino di casa da sempre. In quell’occasione mia nonna e la sua famiglia erano nascosti dentro al loro rifugio, la nonna sbirciava da un buchino in superficie i movimenti dei soldati tedeschi, Marco, l’amico della nonna e dei suoi fratelli, si affacciò dalla porta. Un tedesco lo notò e il suo giovane corpo fu trafitto da una scarica di pallottole di una “maledetta”, come dice lei, mitragliatrice tedesca.

Anna, mi raccontò che sua madre, la mia bisnonna, partiva con un misero carretto e andava a Parma a piedi per barattare l’olio, le olive, le uova con la farina in modo da sfamare i suoi numerosi figli con pane e pasta. Il viaggio durava diversi giorni, a volte anche più di una settimana. Le donne viaggiavano soprattutto di notte per passare inosservate e di giorno si nascondevano nei boschi, fra la vegetazione.

Un giorno una truppa tedesca giunse nel paesino di mia nonna, loro nascosti come sempre nel posto segreto sbirciavano amareggiati la loro casa andare a fuoco, quando ad un certo punto un soldato tedesco andò verso di loro, la famiglia terrorizzata era pronta al peggio, il soldato rompendo ogni aspettativa si inchinò e sussurrando disse loro di correre ed andare a spegnere il fuoco in casa, che erano ancora in tempo. Si scusò e scappò via veloce, mia nonna dice di ricordare ancora la voce di quell’angelo che li aveva aiutati. Il loro angelo si chiamava Actus, si affezionò talmente tanto a loro che da lì a poco nacque un vero e proprio rapporto di amicizia segreto.

Actus portava alla famiglia gallette di riso, e viveri di ogni genere. Si era proprio affezionato a quella dolce famiglia.

Un giorno il soldato buono portò a casa di mia nonna un salame. Mia nonna mi raccontò che lei e i suoi 5 fratelli non avevano mai visto quel cibo strano e misterioso. “Quando l’abbiamo assaggiato ci sembrava così delizioso, non avevamo mai mangiato qualcosa di così buono” disse mia nonna ridacchiando.

Vera aveva pressoché 6 anni, era la sorellina più piccola dei 5 fratelli ”Da dove viene? È buonissimo” esclamò Vera. “Nel bosco, dalla pianta del salame” rispose Actus ridendo. Mia nonna quando racconta questa storia ride a crepapelle.

Vera ancora piccola e credulona credette a quella storia e decise di andarlo a cercare. La sera, i fratelli non vedendola tornare, preoccupati andarono a cercarla e la trovarono in mezzo al bosco tremolante e impaurita.

Non avendo trovato il salame, dice mia nonna, dopo un po’ si era rassegnata ma non era riuscita più a trovare la strada di casa.

Il giorno seguente la famiglia era in casa, alla radio le notizie erano sempre le stesse, quando gli americani annunciarono la notizia che tutti stavano aspettando “ la guerra finalmente è finita”.

La guerra era finita, gli americani avevano liberato l’Italia.

Mia nonna mi raccontò che la popolazione era tutta radunata in piazza, tutti ballavano, cantavano, la gente era felice, in paese si respirava un’aria diversa, finalmente l’incubo era finito e la popolazione sprizzava di gioia.