Mese: aprile 2016

L’eccidio di Stazzema, un passato mai dimenticato

Oggi è venuto a trovarci in classe l’avvocato Simone Serafini, che nel 2004 difese l’imputato  Alfred Mathias CONCINA, sergente dell’esercito tedesco, per raccontarci i terribili fatti riguardanti l’eccidio di Stazzema. Questo incontro ci ha segnato molto e non lo dimenticheremo facilmente. Ecco la nostra intervista:

hqdefault1) In quale contesto storico si svolgono gli avvenimenti di S. Anna di Stazzema?

Come saprete, l’otto settembre del 1943 l’Italia firma l’armistizio con le truppe Alleate. Da questo momento la Germania, prima alleata, occupa militarmente il nostro paese. Le truppe americane, nel frattempo, sbarcano in Sicilia e piano piano salgono alla riconquista. La Germania, dal canto suo, impegnata su più fronti, preferisce richiamare le sue truppe verso nord, stanziando le sue difese lungo la cosiddetta “Linea Gotica”, un fronte di difesa che idealmente congiungeva Pietrasanta con Rimini. Nella zona intermedia fra le truppe alleate e quelle tedesche, dove appunto si trova S. Anna di Stazzema, combattevano le truppe partigiane che supportavano l’avanzata americana con azioni di guerriglia, cioè azioni di sabotaggio contro il nemico. Per combattere i partigiani, il governo tedesco aveva stanziato varie leggi fra le quali quella per cui per ogni soldato tedesco ucciso, sarebbero stati giustiziati per rappresaglia dieci italiani.

 

2) Quali sono le conseguenze di questa legge?

L’esistenza di questa legge, a livello giuridico, è molto importante perché in qualche modo “tutela” i carnefici, nel senso che erano esecutori di ordini venuti dall’alto. Nel processo Priebke, il cosiddetto boia delle Fosse Ardeatine, che è stato il primo processo svolto in Italia contro i nazisti, ad esempio, l’ex ufficiale tedesco è stato condannato all’ergastolo perché ha “superato” il numero di esecuzioni previste da questa legge.

 

3)Perché i processi contro i criminali nazisti si sono svolti così tanti anni dopo questi terribili vicende?

Dovete sapere che, finita la Prima Guerra Mondiale, gli stati vincitori avevano chiesto ingenti risarcimenti alla Germania sconfitta. Il paese, vessato dai debiti, era in ginocchio e il malcontento e il senso di umiliazione erano in crescita fra la popolazione. Pensate che addirittura il marco (la moneta della Germania prima dell’euro) aveva così poco valore che la gente andava a comprare il pane con le carriole piene di soldi. Proprio su questo desiderio di rivincita fece leva il Nazismo, che cavalcò ideali di resurrezione e di orgoglio nazionale. Memori di quanto successo in precedenza, gli stati nazionali hanno preso la decisione di evitare una situazione simile. Per questo motivo tutti gli incartamenti relativi alle stragi compiute dai tedeschi in Italia, e la stessa cosa è successa in Grecia, vennero chiusi in quelli che sono passati alla cronaca come gli “armadi della vergogna”.

 

4) Che cosa si intende con “armadi della vergogna”?

Si tratta di veri e propri armadi, situati nella Procura del Tribunale Militare di Roma: qui vennero chiusi tutti gli incartamenti relativi alle stragi compiute dai nazisti in Italia. Questi armadi vennero addirittura rivolti con l’apertura verso il muro, in maniera da celare e rendere ancora più inaccessibile il “segreto” che contenevano. Solo pochi anni fa, nel 2005 per la precisione, si è deciso di aprire questo e altri processi. Gran parte del merito è da attribuirsi ai cittadini di S. Anna, discendenti delle povere vittime, che per sessant’anni hanno chiesto che fosse fatta giustizia. In confidenza vi confesso che uno dei motivi che hanno fatto aprire questi processi è anche il fatto che c’era una riforma in atto per cui i Tribunali Militari avrebbero dovuto essere chiusi e quindi le Procure, per rinviare quanto più possibile la chiusura, hanno tirato fuori tutti i fascicoli possibili e immaginabili.

5) Che cosa successe a S. Anna di Stazzema?

I tedeschi sospettavano, a ragione, che ci fossero partigiani nascosti nei boschi che circondano S. Anna di Stazzema. Dovete pensare che questo paese è formato da tanti piccoli nuclei abitativi e quindi i partigiani erano difficili da localizzare. In un primo momento, gli abitanti di S. Anna vengono fatti sfollare ma, non essendo stato trovato alcun partigiano, per ordine del Generale Simon, di stanza a Pietrasanta, vengono fatti rientrare. A seguito di un’altra segnalazione, i tedeschi risalgono nel paese. Va detto fin da subito che ad accompagnare i soldati tedeschi c’erano italiani (i cosiddetti “repubblichini”, rimasti fedeli ai vecchi alleati), gente della Versilia che conosceva bene quei luoghi. Arrivati in paese, il 12 agosto del 1944, a mezzogiorno, si sentono suonare le campane. I tedeschi, sparsi nelle varie frazioni in cerca del nemico, credono che si tratti di un avvertimento per i partigiani, mentre in realtà si trattava del semplice rintocco delle campane per il mezzogiorno. Apro una piccola parentesi: i soldati che agivano lungo la linea gotica appartenevano alla XVI divisione Panzergranadier delle SS, truppe scelte famose per la loro crudeltà. Ma torniamo ai fatti. Al suono delle campane, i soldati tedeschi che avevano l’ordine di radunare la popolazione, sparsi per ogni dove, senza ordini precisi, agiscono in maniera differente: alcuni compiono atrocità indicibili, altri addirittura cercano di aiutare la popolazione per quanto loro possibile, sparando in aria e consentendo ad alcuni la fuga. Dopo aver radunato la popolazione nella piazza della chiesa, il Sommer, cioè il tenente a capo di questa divisione, chiama il comando in capo a Pietrasanta chiedendo ordini. La risposta è terribile: “non fate prigionieri”. Vengono dunque messe le mitragliatrici a terra e si fa fuoco sulla popolazione inerme, “colpevole” di non aver collaborato. Furono uccisi quasi tutti, i pochi sopravvissuti vennero fucilati nei pressi di S. Terenzo Monti lungo la strada della ritirata.

6) Perché questo reato, essendo passati così tanti anni, non è stato prescritto?

Voi sapete che, secondo la legge italiana, se un reato non viene giudicato entro 20 anni da quando è stato compiuto non è più perseguibile. Questa è la cosiddetta prescrizione, cioè lo Stato non può più processare né tantomeno condannare nessuno trascorso questo tempo. Questo però è un caso diverso perché si tratta di un crimine contro l’umanità e in quanto tale non è prescrittibile e non può essere concessa in alcun modo la grazia.

7) Che cos’è una “grazia”?

Il Presidente della Repubblica, se lo ritiene opportuno, può decidere che una persona, giudicata colpevole, possa non scontare la pena per cui è stata condannata. Molte grazie sono state concesse per reati commessi subito dopo l’8 settembre del 1943, perché si è valutato che quella fosse una situazione di guerra civile.

8) Come si è scelto chi mandare a giudizio?

Una volta ottenuto l’elenco dei soldati della XVI Divisione Panzergranadier, si è deciso a tavolino che i soldati semplici non potessero andare a giudizio, ma soltanto chi avesse un grado dal sergente in su. Si è pensato, infatti, che solo un graduato avrebbe potuto capire che l’ordine che era stato dato era illegittimo. Unica eccezione è quella del soldato semplice che ha confessato di aver premuto il grilletto nella piazza della chiesa, rinviato a giudizio insieme ai nove graduati e testimone nel processo.

9) Per quale motivo sono stati imputati?

L’accusa è stata quella di concorso in reato: si è valutato cioè che tutti i graduati sarebbero partiti alla volta di S. Anna sapendo che avrebbero ucciso dei civili innocenti. Mi spiego meglio: le responsabilità di un reato sono personali, cioè ognuno risponde delle azioni che compie. In caso di concorso in reato, invece, si presuppone che tutti gli imputati siano consapevoli dell’azione che si compie e dunque tutti imputabili alla solita maniera. L’opinione mia e del resto della difesa era che, dato che i soldati erano sparpagliati e, come dicevo prima, ci furono azioni terribili ma anche alcune benemerite, non si sarebbe dovuto usare tale criterio ma valutare caso per caso. Non esisteva il concorso di persone nel reato perché non esisteva alcun ordine preventivo. Questo è quanto afferma anche il soldato semplice condannato, chiamato a testimoniare, che ha ribadito che il Sommer, cioè l’ufficiale più alto in grado, ha ricevuto l’ordine di compiere la strage solo quando si trovava a S. Anna, non prima. Non essendoci alcun ordine preventivo, non ci può essere neppure il concorso di persone nel reato. Da quanto emerge dagli atti, infatti, l’unico ordine alla partenza era quello di trovare i partigiani. A riprova di ciò, il Tribunale tedesco ha rigettato tutte le richieste conseguenti a questo processo (tutti gli imputati sono stati condannati all’ergastolo), aderendo alla nostra tesi. Questo processo, da un punto di vista prettamente giuridico, è stato molto poco interessante, si è trattato per lo più di un processo alla storia perché si è ritenuto doveroso risarcire chi ha subito ingiustizie tanto grandi.

10) Che sensazioni ha provato a difendere questi criminali?

Tutti quanti noi difensori abbiamo premesso, ancor prima di iniziare il processo, che ci trovavamo in una situazione di grande imbarazzo, come italiani, a dover difendere chi aveva commesso tali atrocità nei confronti di nostri compatrioti. Fra di noi c’era pure una ragazza ebrea, quindi ancor più colpita nel vivo, che aveva chiesto la dispensa da questo processo ma che non le è stata concessa. Compito dell’avvocato, nel momento in cui viene nominato, è difendere il proprio assistito nel miglior modo possibile.

11) C’era possibilità, secondo lei, che il processo avesse un altro esito?

Se il Tribunale avesse agito in maniera esclusivamente giuridica e non “storica”, dal momento che era stato assodato che non ci fosse stato alcun ordine preventivo e dal momento che non c’era alcuna prova tangibile di chi personalmente avesse commesso i reati imputati, l’esito sarebbe stato sicuramente diverso. Non c’era alcuna prova concreta perché i testimoni del processo erano tutte persone molto anziane, e il tempo passato aveva sbiadito nei loro ricordi i volti, i nomi, le persone. Si ricordavano i fatti, si ricordavano che c’erano anche degli italiani fra i nazisti, ma non precisamente chi avesse commesso queste efferatezze. È stato terribile anche per noi ascoltare questi ricordi, a un certo punto ci siamo trovati noi tutti, avvocati, pubblici ministeri, collegio del tribunale in lacrime ad ascoltare questi racconti.Santanna_mahnmal

12) Per quale motivo giuridico sono stati condannati se è stato dimostrato che eseguivano degli ordini?

Qualunque codice militare prevede che il sottoposto, sia esso soldato semplice, sottufficiale o ufficiale, quando riceve un ordine da un superiore, è tenuto a rispettarlo a meno che tale ordine non sia palesemente illegittimo. Se non esistesse questa differenza fra ordine legittimo e ordine illegittimo, nessuno sarebbe stato da condannare perché avrebbe semplicemente eseguito un ordine. Invece, dal momento che nessuno si è opposto, sono stati condannati. Fra le 660 persone uccise ci sono anche dei militari tedeschi ed è plausibile che siano quei soldati che si sono rifiutati di eseguire gli ordini.

13) Ci può raccontare qualche episodio di quella terribile giornata?

Gli episodi più terribili si sono verificati nelle frazioni dell’Argentiera e di Val di Castello. In un casale all’Argentiera erano radunate circa trenta persone fra donne, anziani e bambini. Gli uomini infatti erano scappati perché sapevano che i tedeschi cercavano loro. Arrivati al casale i tedeschi hanno chiesto dove fossero nascosti i partigiani. Non ottenendo nessuna risposta hanno fucilato tutti, compresa una donna e il suo bambino di tre mesi, corsa a supplicare che almeno salvassero il neonato. A Val di Castello, in un altro casale, hanno rinchiuso tutti gli abitanti in una stanza e hanno gettato una bomba dentro; solo un bambino che allora aveva dieci anni e il suo fratellino, testimoni dei fatti, si sono riusciti a salvare chiudendosi nel forno. L’atto finale si è svolto nella piazza del paese: qui erano radunate circa 600 persone. Una volta ricevuto l’ordine, i soldati hanno sparato su tutta la popolazione inginocchiata a pregare.

14) Qual è stato l’esito del processo?

I 10 imputati sono stati condannati all’ergastolo in primo grado, cioè dal Tribunale della Spezia, e la sentenza è stata confermata dalla Corte di Appello e dalla Cassazione. La condanna non è stata eseguita perché la Germania ha rifiutato la richiesta di estradizione e anche la richiesta di risarcimento sposando la tesi che non ci fosse alcun concorso nel reato perché non era stata dimostrata l’esistenza di un ordine preventivo e quindi sarebbero dovute essere provate le responsabilità di ogni singolo individuo. Oltre a ciò, gli imputati sono molto anziani e come tali non avrebbero comunque potuto essere incarcerati. Diciamo che si è trattato per lo più di una condanna storica e politica, per dare il giusto riconoscimento alla popolazione di S. Anna e degli altri paesi colpiti così duramente.

15) Che differenza c’è fra primo grado, Corte d’Appello e Cassazione?

Nel nostro codice esistono tre gradi di giudizio. Prima giudica il Tribunale, a questa sentenza si può fare ricorso in Appello, cioè il secondo grado, e infine c’è il ricorso per Cassazione che è il terzo grado, che però può giudicare solo la legittimità. Diciamo che in Italia si è colpevoli solo dopo tre gradi di giudizio. Il Tribunale si trova nella provincia, la Corte d’Appello nel capoluogo di regione e la Cassazione si trova a Roma.

In conclusione questo processo è stato fatto più che altro per mettere la parola fine a una vicenda che obiettivamente gridava vendetta perché i fatti accaduti non riguardano lo scontro di due eserciti. Si è trattato di un eccidio, una strage gratuita, senza nessun motivo.

 

Simone Serafini, avvocato del Foro di La Spezia, nel processo di Sant’Anna (INIZIO 20/04/2004) ha difeso l’imputato  Alfred Mathias CONCINA, sergente dell’esercito tedesco. Tutti e 10 gli imputati sono stati condannati all’ergastolo con sentenza passata in giudicato l’8/11/07.

Il mio Canto di Natale

di Maria OrzaMarley's_Ghost_-_A_Christmas_Carol_(1843),_opposite_25_-_BL

Era il 24 dicembre, la gente si preparava per l’indomani, il giorno di Natale. I bambini non vedevano l’ora di scartare i regali ma un’anziana parrucchiera, la signora Maria nel paese di Fosdinovo, non la pensava come gli altri.

Maria era una signora molto severa che pretendeva dalle sue dipendenti massima serietà e precisione, senza mai accettare alcun piccolo cedimento.

Tutte le sue dipendenti, tranne una, la odiavano. Non sopportavano il fatto che fosse così dura e spesso poco comprensiva.

Costei si chiamava Esmeralda, un tempo erano amiche per la pelle, poi la loro amicizia si era affievolita sempre di più, ma lei provava ancora tenero affetto per la signora Maria.

Erano le 19:30, era l’ora di chiudere il negozio per ritornare a casa e aspettare i regali.

– Buona serata, ragazze!

– Buona serata a tutte – rispose Esmeralda alle parrucchiere.

– Buona serata anche a te, Maria.

– Sì va bene, grazie, ora puoi andare – rispose Maria con tono arrogante, come se non le importasse.

Fece la strada di tutti i giorni per ritornare a casa.

Si intonavano canti di Natale, c’erano alberi che si illuminavano, bambini che giocavano con la neve fresca.

Mentre la signora Maria passava di lì, pensava: “Mah, che ci trovano tutti in questa festa stupida?”

Tornata a casa, si sedette sulla sua poltrona con una tazza di tè caldo fra le mani.

Ma aveva una strana sensazione, come se qualcuno la stesse guardando.

Alzò gli occhi e vide che il lampadario si stava muovendo.

– Cosa sta succedendo?

A un certo punto tutto intorno a lei tremò, il tavolo, le sedie, il suo bicchiere…

Vide spuntare dalla porta lunghe catene con un intrico di pettini, spazzole e pennelli.

Poi apparve una signora che aveva il corpo fasciato da catene.

– E tu cosa ci fai qui? – disse Maria spaventata

– Non dovresti essere morta da un pezzo?

– Aaaaah stai zitta, non parlare. Sono Daniela, una tua vecchia cliente, ti ricordi, eh?

– Santo cielo, certo che mi ricordo di lei, ma io…

– Zittaaaaa… non devi parlare, ascoltami bene, questa notte ti verranno a trovare nel sonno tre fantasmi, quello del tuo passato, del tuo presente e del tuo futuro.

Svanì nel nulla e lei si ritrovò nel letto. Fece un sorriso, convinta che fosse solo un incubo, quando improvvisamente vide una scia di vari colori per terra che si dilungavano, così scese dal letto per vedere da dove provenisse.

– Ehi!

Maria fece un salto per la paura. Chi aveva parlato era uno strano ragazzo, con un pennello da tinta in mano dal quale gocciolavano vari colori come il bruno, il biondo, il rosso e tanti altri.

I suoi piedi non appoggiavano a terra ma lui era sospeso per aria.

– Io sono il fantasma del tuo passato, dammi la mano!

– Non vorrai passare dalla finestra, vero? Io non so volare!

Agitò il suo pennello magico e a un tratto i colori lo spinsero in aria così da farla volare.

– Dammi la mano – disse Passato.

– Wooooo…aaaaa – stavano volando veloci.

Partirono per la città nativa di Maria.

– Ehi, la mia scuola, la mia città…

– Ora ti porto dentro la tua scuola…

Entrarono nel laboratorio di parrucchiera, Maria e i suoi compagni stavano facendo delle meches mentre la prof. raccontava alcune cose e spiegava.

– Quanti bei ricordi…- disse Maria con aria entusiasta e pensierosa.

Era con le sue compagne, parlava e scherzava mentre lavorava.

Non vedeva l’ora di ritornare a casa per preparare le valigie e partire per la Puglia dai suoi parenti. Per un attimo il fantasma le fece vedere quando Maria era ancora la migliore amica di Esmeralda.

– La mia Esmeralda… Quanto mi manca, ti prego, non voglio più vederlaaaa!

Così scomparve e lei si ritrovò nel letto che dormiva. Si svegliò di colpo – Che incubo, se ne sono andati?

Vide una porta luminosa che si spostava da una parte all’altra, incuriosita si avvicinò e sentì il rumore di phon e caschi. Entrò e vide una persona voltata dalla parte opposta.

– Oh, chi si vede! Io sono il fantasma del tuo presente –

Anche lui, come gli altri fantasmi, era molto particolare… Se ne stava seduto su una poltrona da parrucchiera altissima in un salone dove phon, caschi e spazzole si muovevano automaticamente.

Aprì un portale dal quale le mostrò tutto quello che stava accadendo in quel momento.

– Beh, e allora, cosa c’entra questo?

– Guarda bene e poi capirai.

Vide Esmeralda che stava preparando da mangiare con i suoi parenti .

– Come vorrei che ci fosse anche Maria, come i vecchi tempi…- Maria si fermò un attimo a pensare a Esmeralda e al suo passato.

– Dai, vedrai che se la starà spassando, poi lei è felice così.

La signora Maria ci rimase un po’ male e vide che a nessuno importava di lei.

– Ora capisci?

– Sì…- rispose Maria con le lacrime agli occhi.

– Ma ho sempre fatto tutto per gli altri e perché dovrei essere ripagata così?

– Pensa bene a quello che fai.

– Ti prego non ne voglio più sapere, riportami a casa.

Così la riportò subito a casa, e come sempre si ritrovò a letto, con le gambe rivolte verso il pavimento.

– È davvero così che mi vedono le persone? Non voglio, devo cambiare assolutamente, chissà cosa mi succederà nel futuro…

Apparve così la sosia di Esmeralda, vestita dark, con i capelli lunghi e davanti al viso, neri come le tenebre con uno shatush viola acceso, vestita di nero e borchie appuntite.

– La tua prepotenza ha trasformato Esmeralda in una persona davvero maligna, sei pronta per vedere il tuo futuro? – disse con voce cupa e spettrale.

– Sì, sono pronta.

Si aprì un varco e un vento velocissimo le portò in una via buia e isolata. C’era all’angolo di un negozio chiuso e sbarrato, una persona anziana, incappucciata per il freddo con un bicchiere in mano e le dita cadaveriche. Il viso non si vedeva perché aveva un cappello che le copriva la faccia.

– No, no, non dirmi che sono io! – urlò disperata.

– Sì, sei proprio tu, nessuno è venuto più a farsi i capelli nel tuo negozio e le tue dipendenti si sono licenziate, così tu sei andata in fallimento e hai dovuto chiudere il negozio per i pochi soldi che avevi e le tante tasse da pagare. Perciò ti sei ritrovata così (indicò con la mano la signora che faceva l’elemosina).

– E Esmeralda che fine ha fatto?

– Vieni, ti faccio vedere.

La portò in un negozio di parrucchiere dove erano accese le luci dell’insegna e si sentiva la musica da metri di distanza. All’interno c’era Esmeralda con le dipendenti che si erano licenziate, lei era diventata titolare e non era più quella di una volta.

– Ma cosa ci fa Esmeralda in un altro negozio con le mie dipendenti?

– Ha aperto un negozio tutto suo e come vedi ha fatto successo. È diventata perfida e antipatica proprio come te.

– Aveva proprio ragione Maria a comportarsi così, chissà dov’è? Ahahahah, non mi interessa, povera vecchia.

Sentirono parlare Esmeralda e Maria rimase sconvolta.

– No, no ti prometto che cambierò, non può andare a finire così, non lo posso permettere, voglio morire pensando al bene che ho fatto, ti prego non farmi vedere più niente, voglio tornare a casa e cambiare tutto di me.

– Spero che ti sia stato di lezione, ricorda che ogni cosa che fai ora resterà per sempre.

– Grazie, ne terrò conto.

Cadde dall’alto verso il letto, ormai era mattina e lei, presa dall’entusiasmo, si vestì di fretta. Uscì di casa per comprare dei regali per le sue dipendenti e una cosa molto speciale per Esmeralda. Prima di tutto aumentò lo stipendio a tutte, poi sapendo che a Esmeralda piacevano i libri, le comprò l’ultimo della sua serie preferita.

– Buongiorno a tutti! E Buon Natale!

– Stai bene? Cosa ti è preso?

– Questo è per te, questo è per te, questo è per te e questo è per te, Esmeralda – consegnò tutti i regali alle sue dipendenti e per ultima a Esmeralda.

– Grazie, davvero, non so cosa ti è preso però ti ringrazio, veramente, ti voglio tanto bene – si abbracciarono.

– Ora siete invitati tutti a casa mia!

Applaudirono tutti e andarono a casa sua. Quel Natale rimase nella mente di tutti. Maria cambiò totalmente e non ritornò mai più alle sue vecchie maniere.

 

Un nuovo caso per Giulia

di Pastorini Giulia

 

Mi ritrovai ancora una volta sulla mia poltrona turchese sorseggiando una tazza di thè al limone, osservando attentamente fuori dalla finestra i fiocchi di neve che cadevano sopra la mia macchina nera e che creavano un interessante contrasto. Me ne stavo vicino al camino, al caldo sotto una coperta di lana color tiffany. A un tratto la mia gattina Serafina attirò la mia attenzione giocando con il filo del tappeto, che appunto si era sfilato. Giusto poco dopo aver visto quella scena, il telefono squillò, così mi dovetti alzare a malincuore, spostai la coda di Serafina. Non volevo sgridarla, dato che la vedevo impegnata a cercare di togliere quel filo dal tappeto. Mi avviai nel corridoio verso il telefono che non smetteva più di squillare, pensai dentro di me a chi poteva essere. Arrivai finalmente al mobiletto dove era appoggiato il telefono e alzai la cornetta.

Dalla voce sembrava una persona che aveva appena visto un fantasma, era agitata, non si sentivano bene le sue parole, ma capii che si trattava di qualcosa di grave. Cercai di fargli qualche domanda per capire chi fosse e dove abitasse ma fu tutto inutile.

Buttai giù la cornetta e in fretta e furia chiamai la centrale di polizia dove lavoravo, detti loro il numero di telefono della persona che mi aveva chiamato, e in meno di un minuto riuscirono a rintracciarlo.

Andai in camera, mi misi la divisa più velocemente possibile, salutai la mia gattina, e nonostante la neve riuscii a far partire la macchina e andare in fretta alla centrale. Arrivai a destinazione con la camicia mezza abbottonata e una scarpa senza i lacci, che si erano sfilati rimanendo chiusi nella portiera della macchina, ma nonostante questo disordine ero pronto. Andai dagli altri poliziotti, e mi dettero tutte le informazioni che erano riusciti a raccogliere. Si trattava di una certa Lady Victoria trovata morta. Si sospettava che fosse un omicidio. La vittima era stata trovata in cucina con ben 50 coltellate in tutto il corpo e con una corda legata attorno il collo. La persona che la aveva trovata in queste condizioni era appunto la persona che mi aveva chiamato, ovvero il suo maggiordomo, Louis Tomlinson, che poco dopo aver telefonato era svenuto. Presi la macchina insieme al mio caro amico e anche bravissimo poliziotto Justin Brown e andammo sulla scena del crimine, una ricca casa di campagna.

Scendemmo dalla macchina dopo aver discusso a lungo su chi potesse essere stato a fare una cosa così atroce. Con un bel respiro entrammo e la visione fu scioccante… la crudeltà. La povera Lady Victoria in terra in una pozza di sangue. Non aveva più le unghie delle mani, perché aveva lottato per la sua vita. C’era sangue da tutte le parti, anche sul soffitto e le unghie furono ritrovate persino nella fessura di un cassetto. Lady Victoria aveva una mano quasi staccata dalle coltellate.

Vennero i medici dell’obitorio, le chiusero gli occhi verdi, che avevano perso la loro lucentezza, e la coprirono con un telo bianco, ma non servì a molto dato che poco dopo il telo divenne rosso, intriso da tutto quel sangue che ancora fuoriusciva.

Con tanta pazienza e voglia di fare ci mettemmo subito ad investigare.

Nel frattempo riuscirono a risvegliare il maggiordomo Louis. Dopo essersi ripreso andò ad avvisare tutti i servitori e i familiari tra cui il marito Howard Malik, la cameriera Taylor Shaw, il giardiniere Michael Horan, la sorella della vittima Eleonor Mendez e la migliore amica della vittima, Kayla Zedda.

Rimasero scioccate anche loro dalla notizia e chiesero giustizia ai poliziotti. La polizia e tutti gli investigatori cominciarono a fare domande alle persone che conoscevano di più la vittima. Cominciarono da Louis Tomlison, il maggiordomo.

Non disse molto, solo che l’aveva trovata morta in cucina e che poco dopo era svenuto. I poliziotti non pensarono che fosse stato lui per due semplici motivi: il primo era il suo gran cuore, per il quale era noto a tutti, il secondo era che non avrebbe mai ucciso in quella maniera efferata. Howard Malik, il marito, il maggiore sospettato, tirò subito su la testa senza neanche una lacrima. Il viso era completamente asciutto come se non avesse mai pianto. La cameriera Taylor Shaw rimase immobile, non batté nemmeno un ciglio, ma grazie all’intervento di una psichiatra riuscì a dire che il marito e Lady Victoria litigavano spesso per sciocchezze. Il giardiniere Michael Horan quel giorno non c’era, e a dire la verità mancava da una settimana circa, perché aveva problemi in famiglia. La sorella della vittima Eleonor Mendez, sapeva cosa stesse passando la sorella col marito, e disse con certezza che era a conoscenza di chi fosse stato… ma rimase zitta.

La migliore amica Kayla Zedda, aveva anche lei un’idea di chi potesse essere stato ma rimase zitta, e si mise vicino a Eleonor a confabulare.

Il poliziotto, dopo aver sentito tutte le versioni dei familiari e testimoni, incominciò a elaborare chi potesse essere stato, anche se era piuttosto evidente. Il poliziotto decise di aspettare l’analisi delle impronte digitali e di tutte le altre tracce del dna. Pochi giorni dopo arrivò il risultato e in effetti il dna non era solo quello della povera Lady Victoria, ma anche di un’altra persona sconosciuta, che non era della famiglia.

Cominciarono le ricerche per trovare l’assassino, e venne fuori il nome di un certo Liam Pain, molto conosciuto nella zona per la sua cattiva fama, già stato in carcere parecchie volte. Era stato rilasciato con cauzione da circa una settimana, ma era stata una pessima idea… cercarono di rintracciarlo: Liam Pain, età 43 anni, corporatura robusta, capelli neri, occhi sul marroncino. Lo ritrovarono in un angolo in una strada chiusa per lavori in corso ormai da mesi. Lo trovarono in uno stato pietoso: il colore della pelle era giallastro e gli occhi erano rossi con tutti i capillari scoppiati, sulla maglietta si potevano notare tracce di sangue. L’uomo era incosciente e a malapena si reggeva in piedi, notammo che aveva i pantaloni strappati e sporchi di sangue.

Chiamarono un’ambulanza e poco dopo cercarono di curarlo al meglio, anche se ormai si poteva fare poco.

I poliziotti vedendo che Liam stava per morire cercarono di passare al sodo e farlo parlare. Le poche parole che disse furono: “ L’ho uccisa io, la amavo troppo, e non volevo che continuasse la relazione con il marito, l’ho uccisa così staremo per sempre insieme su nel cielo”.

Chiuse gli occhi e se ne andò verso il cielo anche lui.

Il caso fu chiuso… un altro poliziotto disse: “Perché allora tutte le persone della casa avevano incolpato il marito?”

Lo stesso poliziotto rispose: “Paura, solo per paura di morire anche loro, sapevano chi era stato ma avevano paura. Il marito soffriva in silenzio, sapeva che prima o poi sarebbe finita così.”

Il caso fu chiuso con tanta sofferenza e tanta voglia che tutto questo non fosse mai successo. Cercammo di incoraggiare i familiari, e esausti tornammo a casa, contenti di aver risolto il caso.

Lady Victoria rimarrà sempre nel cuore di tutti.

Ritornai a casa e l’unica cosa che feci fu tornare dalla mia gattina Serafina, raccogliere i lacci delle scarpe nella portiera e sedermi su una sedia per raccontare il caso alla mia famiglia.